Pulsossimetro da dito: indicazioni e casi in cui poterlo utilizzare!
Il pulsossimetro è un’apparecchiatura medica, basata sulla tecnologia sviluppata dal Dr. Takuo Aoyagi nel 1974 per un’azienda giapponese, che permette di misurare la quantità di emoglobina legata nel sangue in maniera non invasiva. Quali sono i casi in cui è possibile usarlo? E quali le indicazioni per poterlo sfruttare al meglio? Vediamole!
Il pulsossimetro a cosa serve? Che sia un pulsossimetro da dito o ospedaliero nelle sue funzioni di base ci restituisce due dati:
- la frequenza cardiaca con la conta dei battiti al minuto
- l’ossigenazione del sangue
Nei dati che leggiamo convenzionalmente il primo dato in alto è “l’ossigenazione” che come unità di misura utilizza la saturazione parziale di ossigeno SpO2 con abbiamo un numero compreso da 0 a 100, mentre l’altro dato è la frequenza cardiaca, ovvero i battiti che il cuore ha in un minuto.
Il sensore li calcola in pochissimi secondi. Questo sensore in realtà non sa nulla di ossigeno e materialmente non lo “vede”, ma riesce a rilevare l’emoglobina nella sua forma legata all’ossigeno ed emettendo una luce rossa ed una infrarossa, riesce a calcolarne la percentuale.
Il pulsossimetro, fino a dieci anni fa circa, era costituito da un sensore unito ad un corpo dalle dimensioni di un piccolo mattoncino con un filo, nel corpo macchina c’era la parte elettronica per calcolare i valori, oggi quella parte si è rimpicciolita e tutto il dispositivo può essere inserito nelle grandezze del sensore.
Il funzionamento è sempre quello, che sia un dispositivo grande o piccolo come un dito, quello che muta è la progettazione per un uso esteso e la presenza di algoritmi che sono in grado di bilanciare eventuali errori. In generale sono strumenti semplici, c’è:
- pulsante di accensione
- display per leggere il dato
- stazionamento per le batterie
- paziente
I dispositivi più accurati mostrano un’onda che dà un’idea della perfusione del dito e di conseguenza dell’accuratezza del dato che leggiamo.
Il pulsossimetro da dito misura un dato che è una percentuale: si accende, si posiziona il dito e si aspetta il risultato. Se dovesse indicare 98%, tutto bene? Se invece 88% allora ci sono dei problemi? Il pulsossimetro in realtà, come è stato detto prima, non ha idea se sta misurando ossigeno o altro, rileva la percentuale di ossiemoglobina e quindi in condizioni ottimali ci restituisce un valore che darà la percentuale di emoglobina legata all’ossigeno, questo dato lo traduciamo noi nell’ossigenazione del sangue.
In una persona in salute e non fumatore, la saturazione potrebbe oscillare da 96 a 100% c’è però da ricordare che gli strumenti più seri segnalano un range di errore che di solito è del 2%. In un ex fumatore la SpO2 potrebbe oscillare dal 92 al 96% a seconda di quanto ha fumato e dei danni che ha causato ai propri polmoni, chi ha fumato per anni non recupererà mai tutto.
Ci sono situazioni in cui il pulsossimetro non riesce a rilevare un dato esatto? Eccole:
- dito freddo, la vasocostrizione periferica impedisce un flusso sufficiente alla misurazione
- tremori, possono essere dati da senescenza, parkinson o febbre, interferiscono con la lettura
- aritmia cardiaca, interferisce con la lettura della frequenza cardiaca e potrebbe dare un dato che discosta molto dal precedente
- smalto sulle unghie, impedisce il passaggio dell’onda infrarossi per la misurazione.
Ma esistono anche accorgimenti che non riguardano il paziente come quello che lo strumento deve essere pulito e le batterie cariche, di solito c’è un’icona che mostra lo stato della carica così che lo strumento possa sostituire le batterie in tempo e non trovarcisi con lo strumento che si spegne durante l’utilizzo.